Attraverso la gestione delle risorse economiche lo
Stato italiano continua a impedire la libertà di scelta delle famiglie e a
condizionare le scuole paritarie, gestite da enti privati
Suor Anna Monia Alfieri - Mar,
09/05/2017 - 13:52
Il “costo standard” inteso come “quota capitaria”, che
spetta, in nome del diritto universalmente riconosciuto, ad ogni allievo per
un’educazione libera da ogni imposizione ideologica, è stata posta al centro
del dibattito culturale da Suor Anna Monia Alfieri con il saggio: Il diritto di
apprendere.
SLIDES: www.costostandard.ml
Nuove linee di investimento per un sistema integrato,
ed. Giappichelli, 2015, di Alfieri, Grumo, Parola. Sta crescendo la
consapevolezza che l’educazione è anzitutto “un diritto e un servizio alla
persona” prima che un “un dovere di frequentare obbligatoriamente” quanto lo
Stato decide di insegnare nelle proprie scuole. Si prende coscienza che, spesso
nella scuola i diritti proclamati sulla carta non sono affatto garantiti nella
pratica. Infatti, in teoria le famiglie sono libere di scegliere la scuola, ma
a prezzo di un costo aggiuntivo (le rette), che solo gli abbienti possono permettersi,
mentre gli indigenti devono adeguarsi a quanto la scuola gratuita di Stato
decide di offrire loro. Tutto questo nonostante che dal 1948 la Costituzione
affermi chiaramente che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo e rimuove gli ostacoli di ordine economico che limitano
di fatto la libertà dei cittadini (art. 2,3). Attraverso la gestione delle
risorse economiche lo Stato italiano continua a impedire la libertà di scelta
delle famiglie e a condizionare le scuole paritarie, gestite da enti privati.
In cambio del riconoscimento statale dei titoli di studio, assegnati dalle
scuole paritarie, si riserva il diritto di “autorizzare, accreditare, vigilare,
sulle stesse” senza impegnarsi ad un conseguente finanziamento economico, in
modo che possano essere frequentate gratuitamente alle famiglie indigenti. Una
riprova di questa impostazione giuridica si trova nelle bozze dei decreti
attuativi della legge sulla “Buona scuola”. Il tutto viene visto e strutturato
in funzione delle esigenze delle scuole, degli uffici, degli operatori, delle
finanze statali, mentre i diritti dell’allievo e del cittadino sono considerati
“un derivato” ovvio e scontato. Le domande, i diritti, la soddisfazione degli
studenti e delle famiglie, che dovrebbero essere, per dettato costituzionale,
il fine di un servizio scolastico democratico sono ridotti ad “effetti
collaterali” di quanto le autorità scolastiche e politiche decidono e
impongono. Le risorse economiche sono considerate “proprietà dello Stato che le
distribuisce a chi e alle condizioni che vuole” invece che “risorse pubbliche a
beneficio del popolo e dei suoi diritti educativi”. A questo proposito la legge
sulla “Buona scuola” aveva fatto intravedere uno spiraglio di novità quando
prometteva “l'istituzione di una quota capitaria per il raggiungimento dei
livelli essenziali, prevedendo il cofinanziamento dei costi di gestione, da
parte dello Stato” ( comma 181,e,4), come dire che il criterio dei
finanziamento sarebbe diventato l’allievo e il suo costo, inteso però come
diritto e non come beneficenza discrezionale dello Stato. Purtroppo nei decreti
attuativi non vi è più traccia di questa impostazione culturale e giuridica,
per tornare alla più rigida impostazione statalistica che “provvede all’erogazione
delle risorse” a chi e come ritiene opportuno, ignorando l’allievo che ne
sarebbe il primo titolare. In questa situazione, “ Occorre intraprendere la
madre di tutte le battaglie: dare ragione della centralità dell’allievo e della
famiglia, sostenere il diritto costituzionale di scelta educativa, in una
pluralità di offerta formativa pubblica, statale e paritaria”. Nel Sistema
scolastico italiano il diritto viene continuamente riconosciuto e non garantito
a causa dei condizionamenti economici e organizzativi che sostanzialmente
emarginano e rendono ininfluente “la domanda dei cittadini” per far prevalere
gli interessi corporativi e partitici. “Un servizio è pubblico quando è
accessibile a tutti in modo libero, senza alcuna preclusione né economica, né
sociale né organizzativa”. E’ tempo che la scuola italiana diventi davvero
pubblica. Come? Semplicissimo. Si consegnano delle semplici slides che
dimostrano l’unica soluzione di diritto e di civiltà e che rispondono a tutte
le domande, anche di chi sta assemblando i propri programmi politici da
propinare ai cittadini. Ma nel caso della libertà di scelta educativa, in capo
alla famiglia e il cui unico beneficiario di diritto è lo studente, la partita
è complessa e necessita di preparazione culturale, rigore e determinazione. La
speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio; lo sdegno per la
realtà delle cose e il coraggio per cambiarle; dobbiamo cominciare ad avere
sdegno e trovare il coraggio di comprendere per cambiare. Oggettivamente, ad
oggi, è il deserto.
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